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In alto da sinistra: Elena Testoni, Egle Romagnolli, Mauro Tuvo; in basso: Franco Francia e Stefano Zoni

Una formula concreta per calcolare il valore economico delle iniziative di governo dei dati, secondo due dimensioni. La prima riguarda l’impatto monetario dei singoli progetti di Data Governance, la seconda i benefici economici dell’intero “programma di governo” del patrimonio informativo aziendale. Diventa possibile stabilire, ad esempio, quanto incidono (in percentuale) tutte queste attività sulle singole voci del bilancio aziendale, dai costi del personale al margine da interesse, fino alla spesa per l’IT.

È il cardine del nuovo metodo Value Based Data Governance sviluppato in collaborazione da CREDEM Banca (il CDO Stefano Zoni e la Information Governor, Elena Testoni), Irion (il Principal Advisor Mauro Tuvo e la Head of Marketing, Egle Romagnolli) e Franco Francia, consulente e docente di Sistemi di Gestione delle Performance all’università di Modena e Reggio Emilia. Il paper – disponibile per il download al link qui sopra – mira a rendere concrete e applicabili le riflessioni scientifiche e manageriali sulla Data Valuation (la disciplina che valorizza gli asset informativi aziendali) cinque anni dopo l’uscita del saggio Infonomics di Douglas Laney.

Value Based Data Governance: quali benefici?

Quest’anno i co-autori hanno raccontato il nuovo approccio durante i maggiori eventi della community italiana dei dati: un roadshow intenso che si è chiuso con l’evento IT Evolution di ABI Lab, preceduto dalla convention DAMA Italy e dall’Osservatorio Big Data e Business Analytics del Politecnico di Milano. In tutte queste occasioni, hanno lanciato un appello a “fare sistema” per valorizzare il lavoro dei data leader italiani, invitando chiunque fosse interessato a sperimentare il metodo Value Based Data Governance nella sua organizzazione.

“Se le persone non sono attente a questi processi e se non ci sono competenze a supporto, posso avere implementato tutto, ma non mi porterà valore. Qual è il proposito evolutivo? È questo che deve muoverci: dare un servizio alle persone” sottolinea Stefano Zoni. La Data Driven Organization, in sostanza, “va sostenuta da una data culture diffusa: possiamo fare le cose più belle del mondo, ma se non vengono capite è inutile farle, anzi potrebbero essere soltanto un costo” avverte il Chief Data & Analytics Officer di CREDEM. Il modello deve essere efficace, proattivo, tempestivo e sostenibile.

“Avevamo punti di vista diversi: una banca, un vendor e un consulente e docente universitario: una sfida ardua, ma appassionante” racconta Egle Romagnolli. “Se nel mio masterplan, ad esempio, ho 10 progetti di data management, con questo metodo riesco a definirne le priorità e capire da quale iniziare. Servono strumenti concreti per discutere con il management. Potrò quindi dire che per aumentare il valore del patrimonio informativo aziendale avrò bisogno di fare esattamente tot progetti, già ordinati in base alla redditività per l’azienda”. In concreto, quindi, come viene quantificato il valore economico delle attività volte a migliorare la gestione del patrimonio informativo? E quali benefici comporta l’adesione al modello?

Project evaluation: le due fasi della valutazione

Nella prima fase della valutazione di un singolo progetto, il modello propone di configurare i driver che possono influire sull’incremento di valore del patrimonio informativo, determinare i casi d’uso e soprattutto – è il punto chiave – stimare il contributo che i singoli dati (oggetto dell’iniziativa di Data Governance) possono dare alle singole voci di bilancio. “Abbiamo stimato la percentuale di incidenza su voci di bilancio come i costi del personale, il margine da interesse o le spese IT. Do valore se mi lego a un valore monetario concreto all’interno dell’azienda” chiosa la Romagnolli.

Con un approccio risk based, nella seconda fase sono stati poi individuati i rischi che possono avere impatto sul valore dei dati. Ad esempio, se il marketing della banca vuole inviare una DEM a tutti i potenziali clienti su un nuovo prodotto, quanto vale il dato “email” se solo il 30% degli indirizzi è di buona qualità? E quanto le mie attività, ad esempio, di data quality possono mitigare questo rischio? Il valore del progetto è quindi il risultato di una formula matematica che considera il valore dei dati in perimetro, il rischio inerente e quanto possa essere contenuto a seguito degli interventi sui dati coinvolti.

Program evaluation: cinque livelli di maturità

Come calcolare il ritorno dell’investimento (ROI) in Data Governance? Il modello invita a considerare tutte le prospettive di intervento sulla DG e per ciascuna stima l’impatto sulle voci di bilancio. Il valore del programma sarà quindi la sommatoria degli impatti delle varie prospettive di DG sugli item di business. “Più facile calcolare la diminuzione dei costi, più complesso stabilire l’aumento dei ricavi” sottolinea Francia.

La formula calcola un valore-obiettivo (“Il Sacro Graal cercato da ogni professionista dei dati”) ovvero il valore teorico che si avrebbe, se fosse possibile implementare subito tutte le componenti sull’intero patrimonio informativo aziendale, con una sorta di “bacchetta magica”. Come diventa poi concretamente gestibile e scalabile? Applicando un sistema di classificazione, mutuato da un “Capability Maturity Model”. Si tratta delle cinque “wave” (o livelli di maturità) citate nel paper.

Ad esempio, se nella Wave 1 viene considerato un valore per la DG pari a 106mila euro, al secondo livello si passa a 1,2 milioni che diventano poi 9 milioni nella terza Wave, 13 milioni nella quarta e 18 milioni nella quinta, in funzione delle prospettive di DG “attivate” in ciascuno stadio di maturità. Le otto prospettive di Data Governance considerate nel modello applicato in CREDEM sono le seguenti:

  • Data quality
  • Lineage fisico orizzontale
  • Lineage business orizzontale
  • Lineage verticale
  • Tassonomia informativa
  • Tassonomia RID (riservatezza, integrità, disponibilità)
  • Tassonomia GDPR
  • Tassonomia processi

Il futuro: “fare sistema” per valorizzare i data leader

“Tutto quello che facciamo deve mirare a soddisfare un bisogno. L’attività si basa su dati CREDEM e l’esperienza di Franco, Mauro, Egle ci ha permesso di calibrare e mettere a terra il metodo. Il nostro proposito è non fermarci qui, ma fare sistema con altre organizzazioni, per far evolvere il metodo verso un modello che possa aiutare tutti i professionisti dei dati, valorizzando il loro lavoro, che non è sempre ben compreso in azienda” evidenzia Stefano Zoni.

Anche alcune aziende di assicurazioni e marchi fashion sono interessati al tavolo di lavoro che nascerà dalle adesioni raccolte: “Non è semplice raccontare tutto il valore, la sostenibilità e l’approccio evolutivo che stanno dietro questo modello – sottolinea Mauro Tuvo – siamo a disposizione di chiunque voglia approfondire, raccogliere esperienze e restituire valore ai colleghi. Potremo migliorare vari elementi: la calibrazione dei driver, le formule, gli ambiti di applicabilità.

Più saranno i casi d’uso e più progredirà il modello: potranno essere usati ad esempio set di driver differenti e validi per altri ambiti e settori, oltre al Finance”. Per candidarvi scrivete a [email protected]

Qualità dei dati e PMI

Come spiegato nel paper, esistono numerosi motivi e benefici attesi per cui le organizzazioni possono attendersi un ROI significativo dal presidio della Data Governance. Ne sono un buon esempio le novità contabili in arrivo per le piccole e medie aziende: “Dal 2023 le PMI dovranno fare il bilancio di sostenibilità, che dal 2024 dovrà essere certificato: per questa attività è essenziale avere dati di qualità” ha sottolineato Franco Francia durante l’evento ABI Lab. “È evidente anche che nel campo del Data Management coesistono visioni e approcci diversi – spiega l’esperto – anche per questo è necessario standardizzare l’approccio e usare un framework come quello proposto dal paper per creare maggior valore”.